Il dipinto esposto a Illegio potrebbe essere un Van Gogh autentico
Nella mostra d’arte «Nulla è perduto» – che ad Illegio è possibile ammirare dallo scorso 4 luglio fino al prossimo 13 dicembre –, è stata esposta per la prima volta al pubblico un’importante e suggestiva opera, riemersa improvvisamente dall’ombra. Si tratta del dipinto a olio su tela (cm 45×36) Le Restaurant de la Sirène à Asnièrs, vicinissimo al quadro di identico titolo, di dimensioni lievemente maggiori, oggi esposto al Museo D’Orsay a Parigi e riconosciuto come opera certa del grande Vincent Van Gogh, realizzata durante il suo soggiorno parigino (1886-1888).
Quando si ritrova un’opera inedita, a maggior ragione se uno sguardo attento la riconosce degna di molta attenzione, e ancor più se un nome come Van Gogh viene evocato, la serietà scientifica del curatore e dell’intera organizzazione della mostra – come è sempre stato nelle mostre di Illegio – agisce anzitutto al servizio della conoscenza e della verità, favorendo lo studio, la discussione, se occorre anche l’approfondimento con mezzi straordinari per fare chiarezza sull’autografia di un dipinto particolarmente avvincente. Questo era il caso.
La mostra di Illegio ha pertanto pianificato, appena aperti i suoi battenti, una completa campagna diagnostica sul quadro esposto in mostra, affidandola all’ing. Claudio Falcucci, di Roma, specializzato da trent’anni nello studio delle tecniche esecutive dei più importanti maestri di pittura della storia dell’arte, applicando alle loro opere metodologie di indagine non distruttive che consentano di ricavare dati fisici, chimici, ottici e tecnici altrimenti non rilevabili con la sola osservazione diretta. Suoi, ad esempio, gli accertamenti eseguiti negli ultimi anni sulle opere autografe di Caravaggio. Non c’era modo più rigoroso per cogliere se un’opera come quella esposta ad Illegio si dovesse ritenere una copia del dipinto esposto al museo D’Orsay, oppure un clamoroso ritrovamento di un Van Gogh perduto.
Oggi il curatore della mostra di Illegio, Don Alessio Geretti, con l’intero gruppo di lavoro che ha preparato l’esposizione «Nulla è perduto», insieme all’ing. Claudio Falcucci, possono presentare pubblicamente gli esiti delle indagini condotte: i dati emersi dagli accertamenti scientifici confermano che il dipinto ora visibile a Illegio, Le Restaurant de la Sirène à Asnièrs, vada presentato all’indiscussa autorità mondiale di riferimento per le opere autografe di Vincent Van Gogh, ovvero il Museo Van Gogh di Amsterdam, perché possa essere riconosciuto come autentico.
Il dipinto è stato sottoposto a una campagna diagnostica basata sulla documentazione fotografica e macrofotografica in luce diffusa e radente, sulla ripresa della fluorescenza indotta da radiazione UV, sulla riflettografia infrarossa (eseguita con un dispositivo a scansione operante nel range di 1650-1800 nm), sulla radiografia, sull’analisi di fluorescenza dei raggi X (XRF) per la caratterizzazione non distruttiva dei pigmenti utilizzati e sul prelievo di un microcampione dal margine sinistro del dipinto utilizzato per l’allestimento di una stratigrafia su sezione lucida con cui indagare articolazione e composizione degli strati preparatori; a completamento delle analisi, anche il telaio del dipinto è stato accuratamente indagato per trarne ulteriori utili informazioni.
Dalla campagna sono stati ottenuti dati circa la natura e le caratteristiche della tela di supporto, confrontandola con le tele normalmente acquistate da Van Gogh negli anni del suo soggiorno parigino, e circa l’impiego di una sottile preparazione ricca di carbonato di calcio e l’uso di una tavolozza cronologicamente compatibile con quel periodo di attività di Vincent Van Gogh e chimicamente coerente con quella da lui utilizzata in quel momento. Ma aspetti ancora più interessanti circa il riferimento del dipinto ritrovato al maestro olandese sono emersi dallo studio dell’impostazione della composizione, come rilevata dalla riflettografia IR. Per definire la prospettiva e l’inquadratura dell’edificio l’autore ha tracciato sulla preparazione alcune linee di riferimento, in carboncino, inequivocabilmente riconducibili ad un cosiddetto telaio prospettico. Per riprodurre rapidamente e fedelmente la prospettiva, l’artista poteva porre tra sé e il paesaggio da riprendere dal vero una struttura lignea su cui erano tesi dei fili che suddividevano otticamente la scena. Riproducendo le tracce di questi fili sulla tela, il pittore era guidato nella copia dal vero. I fili tensionati su questo strumento, denominato appunto telaio prospettico, potevano creare suddivisioni diverse dello spazio, da un semplice quadrettato a una ripartizione in spicchi, come quelli generalmente utilizzati da Vincent Van Gogh per le sue opere abbozzate en plein air. La somiglianza del telaio prospettico disegnato sulla preparazione del dipinto in mostra con quello raffigurato in molti altri dipinti di Van Gogh è inequivocabile: un doppio riquadro di cornice, le diagonali, le mediane, la linea d’orizzonte, tutte linee tipiche di un originale metodo che Van Gogh utilizzava e che soltanto dopo lo sviluppo delle tecniche riflettografiche (da cinquant’anni a questa parte) è stato possibile rilevare e documentare in diversi dipinti del maestro olandese. Se da una parte si può pensare che in quel periodo artistico i pittori prediligessero la “presa diretta” con paesaggi e momenti di vita, per cui non avesse più senso una distinzione tra bozzetto e opera definitiva e sembrerebbe insolita l’esistenza di “doppi” autografi di determinate opere, un’approfondita conoscenza dell’opera di Van Gogh in realtà dimostra proprio la frequente duplicazione dei soggetti del tempo del suo soggiorno parigino, opere quasi gemelle realizzate dallo stesso Van Gogh di sovente la prima dal vivo all’aperto, la seconda ripresa e perfezionata in studio: è lo stesso rapporto che si può ravvedere tra l’opera ora esposta ad Illegio e il più noto dipinto conservato al Musée D’Orsay. Procedendo con le ricerche su quest’ultimo, è legittimo attendersi che darebbero conferma di una stesura più “ponderata” e realizzata in studio del dipinto esposto nel museo francese. In ogni caso, l’esistenza del reticolo preparatorio sul quadro in mostra a Illegio esclude l’ipotesi di una copia, per l’eventuale realizzazione della quale quel tipo di reticolo non avrebbe avuto alcun senso. Tutte le altre analisi hanno infine portato a dati perfettamente compatibili con l’autenticità del dipinto studiato. In particolare, l’analisi del telaio dell’opera, smontato dal dipinto, rivela che esso con tutta evidenza non è il telaio originale dell’opera, ma almeno il secondo su cui la tela è stata fissata nel corso della sua storia. La radiodatazione del legno del telaio con il metodo del Carbonio14 indica, come sempre, alcune finestre di datazione possibile: c’è una bassissima probabilità che il telaio sia del tempo del soggiorno parigino di Van Gogh, c’è invece una probabilità buona che esso sia della fine del Settecento (cosa che ad uno sguardo sull’oggetto non sembra verosimile) e una buona probabilità che esso sia del secondo decennio del Novecento, ma certamente non è successivo. Ora, il 1920 è dunque un termine ante quem si colloca necessariamente la datazione della tela, essendo stata ricollocata su quel telaio solo ad un certo punto della sua esistenza e dopo un tempo sufficiente perché ci fosse bisogno di una tale ricollocazione. Anche questi elementi, dunque, possono convergere sul tempo in cui Van Gogh lavorava tra Asnièrs e Parigi.
Il quadro, peraltro, giunto prima del 1972, probabilmente dal territorio francese, nella casa in cui ancora oggi è conservato, già all’epoca era indicato come sufficientemente datato per essere riconducibile al tempo del soggiorno parigino di Van Gogh, come pure un primo tentativo di analisi condotto all’epoca sembrava attestare, indicandone l’età approssimativa in un centinaio di anni; benché scrupolosa, l’indagine fatta a quell’epoca non disponeva dei mezzi assai più precisi e sofisticati che oggi l’ing. Falcucci ha potuto mettere al servizio della conoscenza, giungendo a conclusioni precise. L’attribuzione certificata spetta, naturalmente, al Museo Van Gogh di Amsterdam, cui l’opera ora ad Illegio verrà presentata con il corredo dei dati chiarissimi emersi da questa campagna di analisi.
I due Restaurant de la Sirène à Asnièrs risalgono alla fase di particolare interesse da parte di Van Gogh per i pittori impressionisti, come si coglie ad esempio anche osservando le pennellate della tela esposta a Illegio. Van Gogh frequentava Asnièrs, alla periferia di Parigi, con il fratello Theo, in ricerca di un ambiente connotato da una prossimità con l’innocenza e con la trasparenza spirituale di cui avvertiva l’acuto bisogno interiore e che non gli pareva di poter trovare nella rumorosa città. Per miseria, Vincent non poteva permettersi di raggiungere alcuni luoghi suggestivi e più lontani, che altri pittori del tempo frequentavano alla ricerca di scorci incantevoli fonte di grande ispirazione; perciò ad Asnièrs il suo pennello fissava ponti, prati, perfino il ristorante sulla strada. Dipingere locali pubblici era abitudine ricorrente in molti pittori dell’Impressionismo, dediti alla rappresentazione della joie de vivre con i suoi balli e i suoi affollamenti, seppur talvolta attraversati da qualche solitudine. Van Gogh invece si concentra sull’esterno del ristorante, qualche figura appena accennata, con uno studio delizioso sulla luce e sulla scomposizione vivace delle forme e dei colori, ma anche suggerendo un senso di silenzio misterioso, come a suggerire che il vero ristoro non potesse provenire dal chiasso festaiolo e frivolo là dentro, ma da una gioia di ben altro genere che ha altrove il suo segreto, laddove l’uomo trova la via di accesso non dentro un locale ma dentro se stesso. Questa ricerca della pace, questa contemplazione del segreto palpitante della vita e della sua sete di infinito, questo desiderio struggente di interiorità, sono stati in fondo il tema unico di tutta la pittura di Vincent Van Gogh.
Il dipinto Le Restaurant de la Sirène à Asnièrs rimane ammirabile nella mostra di Illegio fino alla sua conclusione, il 13 dicembre 2020. Prenotazioni attraverso il telefono (0433.44445) o il sito www.illegio.it o la mail (mostra@illegio.it).