Piccoli: “La svolta deve arrivare dalla politica”

MERCATO IMMOBILIARE
Il mercato immobiliare del Friuli ha ripreso a correre. Confermati i livelli di timida crescita segnati dall’inizio dell’anno. Un bilancio che, se ancora non si può dire esaltante, per lo meno stabilizza la lenta ripresa del settore. Gli effetti devastanti della lunga crisi sembrano quindi essere superati sebbene l’attività edilizia ne abbia risentito pesantemente. Sono ancora decine di migliaia comunque gli appartamenti che restano invenduti a dimostrare la durezza della congiuntura e qualche scelta politica sbagliata. Piccoli segnali confortanti che quindi contrastano con una realtà dei fatti ancora negativa rispetto al passato. Non siamo quindi certo alla “febbre edilizia”. Ma la “voglia di casa”, di cambiarla o di comprarla, sembra riaffacciarsi sulla scena friulana: “Si alza un fil di fumo”, e per sperare in giorni migliori –finalmente- questo può bastare. Dalla situazione regionale ne abbiamo parlato con il Presidente Regionale Fiaip-Fvg Leonardo Piccoli.
“Il mercato è in un momento di risalita dopo otto anni di segni negativi. Stiamo cercando di recuperare il passo dopo la p
esante crisi che ha messo in ginocchio non solo il nostro settore ma tutta l’economia. Nel corso del 2016 abbiamo registrato una crescita delle transazioni rispetto al 2015. Anche per il 2017 le previsioni ci indicano un aumento delle compravendite le quali dovrebbero superare le 13.000 e quindi eguagliare i volumi raggiunti nel 2011. La situazione resta comunque preoccupante con ben 80.000 case in FVG che devono essere abitate. C’è tantissima offerta mentre la richiesta è ancora poca. Il mercato quindi continua ad essere depresso. Con queste condizioni è quindi plausibile non vedere più gru in giro. Le nuove fabbricazioni, che hanno un costo molto alto rispetto al resto dell’offerta, sono una nicchia. Se sono stati nove anni complicati per questo settore. lo dobbiamo anche alle banche che si sono concentrate a salvare i propri bilanci e non hanno erogato a nessuno denaro da investire. Oggi invece che le casse sono piene e i tassi vantaggiosi nessuno va più in banca a chiedere un mutuo e questo per noi è un dato preoccupante. La componente fiscale appesantisce poi ulteriormente il quadro di un mercato ancora in difficoltà”.
L’acquisto della prima casa una volta era la priorità, ora pare non essere più così.
“Il lavoro non è fisso, non ci sono garanzie per il futuro, i giovani non hanno nessuna solidità sulla quale basarsi. Il legame poi con il Friuli, con le proprie radici, non è più quello di un tempo. I giovani non sentono l’esigenza di vivere qui ma sono più propensi a spostarsi, ad andare altrove, anche all’estero. Per questo motivo per loro l’acquisto di una casa non è la priorità come invece lo era per le generazioni precedenti. La società è diventata più mobile. Quelli che restano qui poi escono di casa tardi, preferiscono restare a casa con i genitori come minino fino ai trent’anni. Ciò è legato non solo ad un fattore culturale ma soprattutto ad uno economico, i giovani d’oggi non hanno le possibilità economiche necessarie per andare a vivere da soli. L’altro grande problema del Friuli poi è che la popolazione sta diventando sempre più vecchia”.
Quale può essere una soluzione che possa invogliare i giovani ad investire sulla casa?
“Una soluzione valida per contrastare questo fenomeno e che rivolge ai giovani potrebbe essere quella del rent to buy. Il rent to buy o affitto con riscatto è uno strumento contrattuale che permette di stipulare un contratto d’affitto che poi si potrà trasformare in una compravendita. Quest’ultima non è infatti obbligatoria, ma costituisce solamente un’opzione legata alla locazione. In sostanza la formula contrattuale si compone di due parti: un contratto di affitto e un preliminare di futura vendita da effettuarsi in un determinato tempo (che in genere è di 3-5 anni, ma che è tutelato dalla legge fino a 10). L’attenzione verso il rent to buy è in continua crescita da almeno un paio d’anni. Ma rimane ancora una nicchia in un mercato in crisi”.
La casa come bene rifugio non esiste più?
“Il friulano medio andava ad investire sul mattone perché era qualcosa di concreto, figlio di un pensiero mainstream che raccontava ai piccoli proprietari che gli immobili si sarebbero sempre rivalutati e che ci si poteva guadagnare qualcosa rivendendoli. La casa quindi era sempre l’investimento preferito. Poi, negli anni 2000, c’è stato un cambiamento del modello con i friulani che hanno cominciato ad optare per gli investimenti finanziari. Le banche però, come dimostrato dai fatti, hanno traditi gli investitori. Ora per questo motivo si è tornati ad investire sul mercato reale, sul mattone. Scelta azzeccata perché questo è il momento giusto per comprare in quanto i valori sono ai minimi storici. L’acquirente del momento quindi non è la coppia di giovani che mette su famiglia ma chi compra per fare un investimento, per avere una rendita”.
Serve quindi rivolgersi a nuovi acquirenti.
“La casa, come ogni altro prodotto, deve saper rivolgersi alle persone, ai consumatori. Non basta più voltare pagina, bisogna cambiare direttamente libro. Anche lo straniero in questo momento è un potenziale cliente. Gli stranieri assorbono quella parte degli immobili che gli italiani non vogliono più. Chi lavora qui, chi si è inserito, chi ha dei figli che sono cresciuti in Friuli vuole comprare una casa. Altro discorso invece è quello di tutti quelli stranieri che cercano un riparo di fortuna solo per un periodo breve. Essendo economicamente con le spalle al muro si arrangiano in ogni modo, vivendo per esempio in appartamenti sovraffollati. Otto, dieci persone che vivono in condizioni disagiate, senza alcuna regola”.
Qual è la soluzione migliore per proteggere l’investimento immobiliare e quindi il valore di un immobile?
“La casa non vale solo perché esiste ma perché nel tempo è stata ben tenuta. L’elemento fondamentale per valutare un casa è il contesto nel quale essa è inserita. Quando un immobile è inserito in un contesto di degrado è normale che il suo valore scenda drasticamente. E’ sotto gli occhi di tutti che certe zone di Udine, per cecità della politica, sono state abbandonate a loro stesse. Gli strumenti per valorizzare un’immobile ci sono e vanno sfruttati”.
Udine invece che momento sta vivendo?
“Udine si sta sempre di più svuotando. La politica si è concentrata su via Mercatovecchio ma bisogna rendersi conto che la città non è fatta solo dal centro storico. Il sindaco del futuro deve sapere valutare anche le periferie. La vera battaglia da vincere nei prossimi anni è quella di riportare più residenti in città. Serve un progetto a lungo termine che ora non c’è, servono idee. Le richieste maggiori ci arrivano dalla zona a nord di Udine, quella di Pagnacco, Tavagnacco e Martignacco, una zona residenziale molto servita. Sono con maggiori servizi, con maggiore sicurezza si possono attirare nuovi residenti”.
Da dove può arrivare la svolta per uscire da questa situazione di empasse?
“La svolta può arrivare solo dalla politica. Prima cosa che la Regione deve fare è ritrattare l’accordo con lo Stato centrale per liberare nuove risorse che serviranno poi per creare un nuovo progetto di crescita. A preoccupare è la totale assenza di riforme strutturali e di politiche economiche che non hanno aggredito il debito pubblico, non hanno tagliato in modo significativo la spesa pubblica o abbassato la pressione fiscale per i contribuenti. Il rilancio dell’economia si ottiene solo ed esclusivamente favorendo il settore immobiliare che è l’unico comparto anticiclico che crea posti di lavoro e non può delocalizzare la produzione. Altro argomento centrale sono le dinamiche demografiche, il calo della popolazione e l’invecchiamento della stessa che segneranno un cambiamento radicale del mercato e ridisegneranno necessariamente le nostre città”.