Alla riscoperta dei borghi del Fvg. Le due moggesse, tracce sui monti di un antico Friuli

Moggessa di Qua e Moggessa di Là. Due paesi semi-abbandonati sopra Moggio Udinese che testimoniano come un tempo anche quel fazzoletto di Prealpi Carniche fosse luogo in cui la vita brulicava. I pascoli, gli orti, l’allevamento e il bosco davano ciò che bastava all’uomo per sopravvivere. Il mulino oggi è un rudere adagiato sulle sponde dell’omonimo Rio dal Mulìn, il torrente cristallino che scorre tra i due paesi, distanti poco meno di un chilometro l’uno dall’altro.

Moggesa di Là
“Era una vita di fatica, gli inverni erano lunghi e freddi ma qui si trovano le nostre radici e appena possiamo torniamo quassù per qualche mese” è la testimonianza di alcuni degli ultimi abitanti di Moggessa di Qua, che ci accolgono e fanno accomodare attorno a un tipico fogolâr friulano. I loro racconti dell’infanzia, misti all’odore di brace accesa, evocano un passato bucolico, in cui il borgo nella prima metà del Novecento contava circa duecento anime. Poi il boom economico e una storia già nota a numerosi paesi montani: molti abitanti lasciarono il luogo delle proprie origini in cerca di fortuna all’estero o in pianura. Le nuove generazioni si spostarono, lo spopolamento galoppava e il terremoto del ‘76, oltre ad aver arrecato ingenti danni al patrimonio architettonico, acuì lo stato di abbandono delle Moggesse e sancì il definitivo sgretolamento del tessuto sociale. L’isolamento geografico infatti rendeva sconveniente ricostruire gli edifici in ciottolo crollati: non esistevano vie carrabili per il trasporto di materiali edili, tutto doveva essere trasportato a spalla lungo l’attuale sentiero CAI 418, che risultava essere la via più rapida per giungere a valle, in circa un’ora e mezza di cammino da Moggessa di Qua. Per questo, numerosi sono i ruderi che ancora oggi giacciono tra i caseggiati. Non tutto però è andato perduto perché l’identità delle due borgate continua a vivere sottovoce negli edifici ristrutturati e nei reticoli viari che ancora oggi ospitano scorci da cartolina.
Per arrivarci si imbocca il sentiero 418 da Moggio Alto, si costeggia il Rio Moggessa e, discostatisi dal corso d’acqua e compiuto un dislivello di 200m, si raggiunge una cappella votiva che accoglie gli avventori in una vallecola che nei mesi autunnali viene inebriata dal profumo di abbondanti ciclamini. Il sentiero continua su un brullo versante in discesa e, dopo un tratto di bosco in leggera salita, sono due strutture diroccate a dare il benvenuto: Sono alcune delle antiche stalle di Moggessa di Qua, dislocate dal centro abitativo e vicine a quel che resta di un vecchio abbeveratoio. Continuando a salire, in pochi minuti si giunge al paese vero e proprio; dalla strada principale si diramano numerose viuzze su cui fanno capolino poderose viti e balconi fioriti. Se passeggiando o abbeverandovi alla fontana centrale vi sentiste osservati da qualcuno ma non capiste chi fosse, è certo che ad aver posato lo sguardo su di voi siano stati i Guardiani di Moggessa, i silenti custodi di roccia che guardinghi, da sopra il loro muretto, controllano chi passa. Sono degli enigmatici sassi sui quali furono dipinti da un residente degli occhi rapaci e scritti alcuni moniti, come ad esempio “Tu non lo sai, loro ti vedono, i Guardiani”, “Lasciami così” oppure “Io sarò la tua morte… L’Angelo”. Questi ormai possono essere considerati gli ultimi abitanti stanziali delle Moggesse, perché i pochi che ancora risiedono da queste parti lo fanno solo in periodi limitati.
Di importante menzione, a monte del paese, si estende il bosco bandito, uno di quegli appezzamenti votati all’approvvigionamento di legname utile alla costruzione della flotta della Serenissima e – per questo motivo – banditi da ogni altro utilizzo dalla seconda metà del ‘500. Il ricchissimo bosco, costituito in prevalenza da faggi, ospita anche numerosi pini neri, i cui esemplari più vecchi superano i 400 anni di età. In alcune delle conifere presenti si riscontrano dei vistosi intagli a spina di pesce che i boscaioli scalfivano sulla corteccia per ricavare la resina, usata poi sia come medicamento, sia per estrarre la trementina.
Un ponte a guado del Rio dal Mulìn invita a proseguire e raggiungere Moggessa di Là dopo un’ultima salita. Arrivati alla borgata, maggiormente estesa rispetto alla cittadina sorella e collegata anche da una recente strada battuta fino a Monticello, ci si può subito immergere in un fitto intrico di stradine; servirà qualche minuto di esplorazione per riuscire ad orientarsi con efficacia e visitare ogni angolo. Diversi sono i punti di interesse: la chiesetta dedicata alla Madonna, le quattro fontane, varie edificazioni rurali con ampie arcate, il punto di ristoro aperto periodicamente e la scuola, sulla cui facciata presenzia ancora la meridiana con l’iscrizione “sine sole sileo”, tradotto “senza il sole sto in silenzio”. Stanno in silenzio ora le due Moggesse, ma il sole non è ancora sorto, finché ci saranno ancora persone che abitano, amano e visitano queste tracce di un antico Friuli (foto di Lorenzo Sebastianutto).

Moggessa di Qua
Scritto da Valentino Riva