Star bene mangiando…

I segreti del successo dello chef internazionale Walter Dri
“Tornare all’Udinese? Io sono disponibile”
di Irene Giurovich
Un nome che evoca un’associazione diretta con il benessere e la salute a tavola. Quello dello chef internazionale Walter Dri, ormai divenuto quasi un’istituzione per antonomasia in Friuli, in Italia e all’estero. Ovunque sia andato, ha dato vita a progetti-pilota e ovunque abbia messo radici, ha gettato i semi della ricetta rivoluzionaria dell’alimentazione viva e allunga-salute! Ha fondato il ristorante-osteria Casa Mia, a Martignacco, regno del mangiare sano per vivere meglio e in longevità dove si possono assaporare piatti vegetariani, vegani e carnivori. Walter Dri ha scelto, dopo un passato onnivoro, di abbracciare cinque anni fa, per motivi salutistici, la cucina vegetariana, per sposare poi, negli ultimi tre anni, la cucina vegana e crudista. Il suo credo: il cibo deve fornire energia senza appesantire. Il suo modo di definirsi: “Non faccio da mangiare in maniera ristorativo, faccio da mangiare perché voglio far stare bene le persone”.
Walter Dri, da dove ha origine il suo amore per la cucina?
“Questa passione nasce dalla nonna emiliana. Direi che sono nato in cucina, in mezzo a pentole, sughi… mia nonna tirava la pasta a mano, faceva ravioli, tagliatelle. Con i suoi piatti era in grado di trasmettere calore. Insieme a mia madre gestiva un ristorante in Svizzera dove sono nato. Quando approdai in Italia, non ebbi alcun timore di dire che nella mia vita io volevo fare il cuoco. Era un’epoca in cui tutti studiavano per diventare ragioniere, geometra…insomma, una scelta come la mia era vista come scegliere di fare il pirata. Frequentai le scuole di formazione in Friuli, a quei tempi c’era l’Irfop a Lignano. Iniziai a fare le stagioni in vari ristoranti”.
Dunque, abbiamo di fronte un autodidatta che è riuscito a ritagliarsi il suo spazio di innovazione…
“Esatto. Sono autodidatta e ne vado fiero. Ovviamente partecipai a numerosi corsi tenuti da chef stellati, ad esempio con Cracco, Ernesto Iaccarino al ristorante di lusso migliore in Italia Sant’Agata sui due golfi e altri. Ho appreso le tecniche. Poi intrapresi la mia strada. Al Tiglio, a Moruzzo, risale la mia prima gestione nel 1999: qui proponevo una cucina onnivora. Andai avanti fino al 2008, anno in cui l’edificio doveva essere ristrutturato. Nel frattempo assunsi il ruolo di chef tecnico per Jolanda de Colò a Palmanova: mi occupavo delle degustazioni sia in sede sia in tutta Italia, oltre che del booking dei prodotti tuttora rimasto valido. Arrivò poi la risposta del Comune dopo il restyling dell’edificio dove sorgeva Al Tiglio. L’affitto richiesto era troppo elevato e quindi, visto che mi si era presentata una possibilità, decisi di coglierla al volo”.
Quale possibilità?
“Rilevai il locale in via Volturno a Udine e per tre anni funzionò come primo risto-bistrot in Friuli, dal 2010 al 2013. Inaugurai un’esperienza da apripista. Poi prese il via per qualche mese la parentesi in Sud Africa dove mi recai per progettare la cucina in una casa vinicola di un noto imprenditore di origine pordenonese che voleva infondere la specificità italiana alla ristorazione anche con l’importazione di vini dal nostro Paese: era una delle prime joinery in cui si abbinano ristorazione ed enoteca. Avevo predisposto il forno per le pizze, una novità assoluta per loro. Il mio intento era fermarmi qui ma, visto il prolungarsi dei lavori, decisi di ritornare in Italia”.
Che cosa decise di inventare?
“Il destino volle che incontrassi Michele Mareschi con cui aprii il ristorante Farroni a San Daniele. Era il gennaio 2014. Qui iniziai a proporre le tre proposte: vegana, vegetariana e carnivora. Misi a punto i piatti, oltre alla progettazione della cucina. Devo dire che i piatti veg e vegetariani andavano alla grande. Richiestissimi… e pensare che siamo nella terra del San Daniele! Elaborai le prime sperimentazioni con i fermentati a base di anacardi che poi avrei sviluppato qui al ristorante Casa Mia”.
Prima di addentrarci nel regno ‘Casa Mia’, non possiamo dimenticare la chiamata dell’Udinese. Di che cosa si occupava?
“Ad ottobre 2015 l’Udinese mi cercò e per un anno e mezzo fui il referente della nutrizione sportiva. L’Udinese mi affidò la cucina che gestisce in autonomia. Ho voluto mettermi a disposizione anche con lo staff medico. All’inizio seguivo le indicazioni del nutrizionista, poi, dopo che la società decise di eliminare questa figura, divenni il responsabile unico dell’alimentazione dei giocatori”.
Ai giocatori piaceva nutrirsi con le sue creazioni?
“Proponevo i piatti veg e vegetariani in modo tale che piacessero, in modo da invogliarli a mangiare qualcosa di diverso: pasta con legumi, ad esempio, pochissimi latticini, più pesce, soprattutto pescato, che preferivo alla carne rossa e al vitello. Ogni tanto carne bianca. Non ho mai fatto e non faccio soffritti, escludo, allora come oggi, cotture troppo invasive, troppo lunghe, curo molto le associazioni fra alimenti, del resto il fisico, per cambiare stile di vita, impiega circa 6 mesi al fine di memorizzare le nuove tendenze”.
Quale la soddisfazione più grande di questa esperienza?
“ Alla fine del mio percorso, il medico che seguiva i giocatori mi disse che i loro parametri non erano mai stati così buoni come in quel momento. I giocatori presentavano un’ottima massa magra e per me era già un buon punto”.
Da alcuni rumors pare che potrebbe essere richiamato dall’Udinese, è vero?
“Diciamo che le porte le tengo aperte. Posso dire che più volte Paron Pozzo mi ha espresso i suoi complimenti. Comunque, sì: posso essere disponibile per una consulenza. Del resto quando mi chiamò a febbraio 2017, fino a gennaio 2018, Massimo Carrera, allenatore dello Spartak Russia, il risultato fu la vittoria dello scudetto”.
Arriviamo finalmente a Casa Mia che, aperta a marzo 2017, ha acquisito già una notorietà non solo in tutto il Friuli ma anche al di fuori: qual è l’ispirazione di questo luogo?
“Casa Mia è lo sviluppo dell’idea prodromica dei Farroni, per questo chi viene qui trova le tre opzioni: la plant-based ovvero vegana, vegetariana e carnivora. Qui si respira energia positiva, anche per questo il lavoro va molto bene. Lo staff che ho voluto accanto a me rispecchia, con la sua cortesia, il suo sorriso e la preparazione, l’atmosfera di Casa Mia. Io non posso definirmi un cuoco, o meglio non posso dire di fare il cuoco, bensì offro benessere. In questo momento mi sono focalizzato anche sull’alimentazione rivolta a chi soffre di alcune patologie, come morbo di Crohn, diabete, Parkinson, malattie legate sia all’aspetto psicologico sia a quello alimentare. Tramite un adeguato supporto con il cibo giusto si possono mantenere sotto controllo le malattie”.
Una delle novità che ha introdotto a Casa Mia è la cucina crudista, come mai?
“Sto approfondendo l’alimentazione crudista in quanto essa dà tutta l’alimentazione di cui le nostre cellule necessitano: acqua al cui interno troviamo minerali, vitamine…tutto! Il supporto lo fornisce l’alimentazione che non supera i 43 gradi. Per questo a Casa Mia si trovano il kombucha, ricco di thé nero, il kimchi (che si può preparare con tutte le verdure fermentate in acqua e sale, l’acetico della fermentazione è aceto buono, nulla a che vedere con l’aceto classico che bene non fa), il camembert erborinato con processo di fermentazione, frutta secca senza fitati, semi di girasole, tutti germogliati in quanto acquisiscono un potere nutritivo superiore. Ultimamente mi sto focalizzando sull’alimentazione senza glutine e a basso indice glicemico, un’alimentazione in grado di rispondere anche alle numerose situazioni di intolleranze. A Casa Mia si possono trovare piatti legati alla tradizione e piatti legati al menù veg, vegetariano e crudista”.
Nonostante Lei sia vegano e crudista ha deciso comunque di mantenere anche le altre opzioni, come mai?
“Le tre scelte ripercorrono tutto il mio percorso. Tanti clienti apprezzano che in questo locale possano essere accontentate tutte le esigenze e si possa assaggiare anche qualcosa di innovativo e, molto spesso, le persone ritornano proprio per i piatti diversi. Il mio obiettivo è che i clienti conoscano e condividano anche un altro approccio alimentare, un altro tipo di cucina. In Regione non si trovano esempi simili”.
La maggior parte dei suoi clienti è vegana, vegetariana o carnivora?
“Non c’è distinzione, un po’ e un po’. Sono conosciuto più come ristorante che fa anche vegano”.
Da vegano, ripensando al suo cammino, è dura dire addio anche a formaggi, uova e tutti i derivati del latte?
“All’inizio puoi sentirne la mancanza, ma dopo, quando li rimangi e ti senti pesante, tendi ad escluderli felicemente e senza alcun rimpianto”.
Approvvigionamenti: un capitolo essenziale. La materia prima da dove arriva?
“Io ho un orticello bio a Udine, in via del Bon. Per il resto mi rifornisco all’azienda agricola Orto di Fede guidata da Luca Virgilio e Federico Lora, miei clienti affezionati: sono proprio loro a ‘testare’ in antemprima le mie creazioni prima che le inserisca nel menù”.
Dalla sua visuale privilegiata, cosa può dirci sulle attuali tendenze alimentari?
“Più vegetariani e meno carnivori. Siamo nell’anno del green. Inevitabilmente lo star bene è collegato a doppio filo con meno carne!”.
Walter, per lei mangiare significa…
“Nutrire se stessi in maniera giusta ed equilibrata. È un nutrimento fisico ma anche spirituale. A Casa Mia la gente si alza da tavola euforica. A dimostrazione che il sano cibo deve iniettare energia, infondere la carica. Quello che faccio io deve essere speciale”.
In linea con il principio socratico che campeggia sulla homepage del suo sito www-walterdri.it: Chi vuol muovere il mondo, muova se stesso.