Oltre Oceano con il diabete insulino-dipendente come compagno di viaggio

Diario di viaggio con il diabete di tipo 1
Partire per un altro continente è sempre impegnativo per chiunque poiché il nostro fisico si deve adattare a un nuovo fuso orario, a un’alimentazione e a volte a un clima diverso. Tutto ciò diventa più complesso se a farci compagnia c’è il diabete, in particolare il diabete giovanile, Tipo 1, quello in cui la normale vita è possibile solo con un’adeguata terapia insulinica.
Tutto si può fare? Certo ogni sogno si può realizzare e ogni impresa si può compiere.
Cosa serve: tutto il necessario per la terapia con scorte abbondanti sia di insulina sia di strisce o sensori per misurare la glicemia. Conservare l’insulina in modo corretto è fondamentale pertanto ci vogliono contenitori idonei per mantenerla fresca senza però abbandonarla nella stiva dell’aereo dove le temperature troppo basse la danneggerebbero.
E’ necessario conoscere i cambiamenti che avvengono andando in un diverso fuso orario e i tempi di adattamento che sono circa di 24-48h. Questo è fondamentale perché spesso il bisogno di insulina sia a riposo che ai pasti varia tra notte e giorno e tra mattina e pomeriggio così che all’inizio i nuovi orari del posto in cui si va non sono quelli che ancora sente il nostro corpo. Adattarsi poi alla nuova alimentazione richiede una buona capacità (che se ben allenata è routine) di stimare la quantità di carboidrati dei cibi e regolare di conseguenza le dosi di insulina e a correggere in modo corretto se necessario.
Conoscersi, preparare bene i bagagli, sapere le “regole di funzionamento del nostro corpo” è la ricetta per garantirsi una bella vacanze senza venire turbati dalle montagne russe delle glicemie.
Il bagaglio di un diabetico non è cosa da poco ed io dovevo affrontare un viaggio on the road negli USA, servono penne per insulina rapida e lenta, glucometro, strisce e zuccheri vari, più i farmaci che è sempre bene avere con sè. La vacanza sarebbe durata 23 giorni quindi avevo bisogno davvero di molte cose considerando anche che dovevo avere con me doppia scorta di tutto e il tutto diviso in due zaini, uno lo avrei portato io e l’altro mio marito, in modo tale che se uno dei due avesse smarrito il prezioso bagaglio ci sarebbe stato l’altro. Per conservare l’insulina a temperatura ottimale mi sono servita di comodissimi astucci Frio che restano a temperatura costante per tre giorni, trascorsi i quali è sufficiente immergerli in acqua molto fredda per dieci minuti e sono di nuovo pronti, come zuccheri veloci invece ho optato per Glucosprint, maltodestrine e caramelle gelee. Giunti a Los Angeles si trattava di gestire il fuso orario, per le prime 24 ore ho mantenuto l’orario italiano per la somministrazione dei boli di rapida e lenta, in modo tale da dare il tempo al mio corpo di abituarsi ai nuovi ritmi di sonno-veglia. Il giorno dopo ho iniziato a fare i boli pasto secondo l’orario locale, l’insulina lenta invece ha richiesto circa 12 ore in più per evitare che si accavallassero i dosaggi, insomma nel giro di 48 mi ero adattata al nuovo fuso orario, qualche sbalzo glicemico c’è stato, ma del tutto prevedibile e accettabile considerata la situazione.
La mattina seguente siamo partiti alla volta delle spiagge più belle: Santa Monica, Venice, Long Beach e Malibù.
In questi splendidi luoghi il mio diabete ha ringraziato, la frutta e la verdura hanno un sapore che è difficile descrivere quanto sia buono, il sole californiano dona a questi frutti della terra una dolcezza incredibile!
La tappa successiva è stata San Diego, qui purtroppo ci siamo dovuti adattare alla classica alimentazione americana, la cosa si è fatta difficile da gestire anche perché non usando ancora il microinfusore e il sensore sono stata costretta a fare una glicemia e un bolo ogni due o tre ore per tamponare il rialzo glicemico dato dalla grande quantità di grassi e spesso con risultati non ottimali, ma mi hanno aiutato molto i lunghi percorsi a piedi
Da San Diego è iniziata la parte più impegnativa del viaggio, dovevamo raggiungere Las Vegas nel Nevada e da lì poi il Grand Canyon, la Monument Valley e Page per poi rientrare a Las Vegas, il tutto in dieci giorni.
Per affrontare i tanti chilometri nel deserto di pietra più assoluto senza punti di ristoro ci siamo serviti degli efficienti frigoriferi in polistirolo da tenere in macchina riempiti con del ghiaccio, lì abbiamo messo le scorte di acqua e cibo e tutti i farmaci considerato che la temperatura esterna si aggirava sui 45 gradi con una forte escursione termica la notte.
L’ultima tappa del viaggio è stata San Francisco, al porto di questa straordinaria città cucinano aragoste e granchi davanti a voi ed è veramente impossibile resistere, abbiamo mangiato la caratteristica zuppa di pesce che loro servono in una pagnotta di pane svuotata, è davvero impossibile stimare i carboidrati di questa pietanza perchè finchè non finisci di mangiare il pesce non sai quanto pane ci sarà da mangiare, sono andata davvero a spanne e ho calcolato 150 carboidrati, le prime due ore sono andate bene, ma dopo ho dovuto fare un paio di correzioni, cmq la sera prima di cena avevo un rispettabile 150!
A questo punto il viaggio stava per concludersi ed era giunto il momento di chiudere definitivamente i bagagli con tutti i nostri ricordi, le nostre avventure e disavventure, i carboidrati azzeccati e quelli completamente sbagliati, le glicemie fatte al volo tra una fotografia e l’altra. Durante questo viaggio abbiamo percorso 3500 chilometri in automobile, il diabete non ci ha fermati, ci ha messo in difficoltà qualche volta, ma le difficoltà si superano con una buona preparazione e soprattutto con la voglia di fare ciò che si ama e con chi si ama.
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IL PAîS gente della nostra terra – edizione cartacea – giugno 2019 – rubrica a cura di Sweet team